L’Organizzazione delle Nazioni Unite l’ha scelta per dirigere un ospedale militare: la vicecomodoro (tenente colonnello) argentina Norma Arnoletto è la prima donna a capo di un ospedale, nelle missioni cosiddette di pace.

Norma Arnoletto si è laureata in ostetricia all’Università Nazionale di Cordoba, successivamente ha preso la specializzazione anche in diagnostica di radiologia ed ecografia. Il suo impegno in ambito medico si intreccia solo successivamente al mondo dell’Air Force.

Nel 1993 apprende che l’Aeronautica Argentina ha incorporato i medici per le missioni di pace, così si arruola e si mette subito alla prova in Mozambico, in una missione dell’Ospedale Militare Mobile. Trascorsi sei mesi in Africa a fare guardie ed esami, rientra in Argentina e decide di intraprendere la carriera militare con un addestramento a Ezeiza. Entra nella Forza come medico e approda all’ospedale aeronautico.

Una donna che accede a una posizione di guida, quasi una pioniera in due aree difficili per le donne, quella del soccorso di emergenza e l’ambito militare.

Norma Arnoletto conquista i gradi, avanza nei turni e nelle esperienze. La vicecomodoro viene prima nominata assistente tecnico-sanitaria del reparto diagnostico per immagini dell’ospedale e nel 2016 è eletta direttore medico dell’ospedale militare mobile (HMR) nella missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (MINUSTAH). Oggi mantiene un ruolo apicale nell’ospedale dell’aeronautica e resta a disposizione per altre possibili missioni all’estero.

Una carriera nell’Aeronautica e in Medicina che prosegue, per lei essere direttore medico in un ospedale con così tanta storia per l’Istituzione è motivo di grande responsabilità e orgoglio.

Un esempio positivo di tenacia e duro lavoro, di chi umilmente si rimette in gioco quotidianamente. In quest’epoca moderna tanto arida, Norma Arnoletto ricorda:

Occorre svolgere la professione con passione, rispetto, responsabilità e umiltà. Per raggiungere una meta occorre lavoro, onestà e professionalità.

D’altra parte sono ancora poche le donne peacekeepers, volontari che operano in paesi altamente conflittuali. In base a stime riportate dal sito delle Nazioni Unite, le donne costituiscono il 22% dei 16,507 membri civili delle missioni di peacekeeping attualmente attive, il 29% del personale internazionale e il 17% di quello nazionale. L’obiettivo ONU è quello di raddoppiare, entro il 2020, il numero delle donne impiegate nel personale militare e di polizia delle missioni di pace.

Norma ArnolettoLa scelta di dedicarsi all’ambito dei soccorsi è ancora difficile per le donne, che si vedono spesso osteggiate da pregiudizi e dai colleghi, oltre alle condizioni di lavoro già al limite. Un forte divario tra generi, che purtroppo si sente anche in Italia. Questo è tanto più vero per i soccorritori in missione all’estero, alcuni enti, infatti, negano proprio la presenza femminile nel corpo militare di soccorso.

L’apporto in qualità di personale militare, membro delle forze di polizia o dello staff dei civili, rimane quindi ancora piuttosto marginale. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è intervenuto più volte in un tentativo di promozione ed inclusione femminile.

Il  31 ottobre 2000 nel Palazzo di Vetro viene adotta all’unanimità la Risoluzione 1325 con l’agenda Women, Peace and Security. Per la prima volta nella storia viene riconosciuta la specificità del ruolo e dell’esperienza delle donne in materia di prevenzione e risoluzione dei conflitti.

L’ONU ha così promosso otto risoluzioni che prevedono, tra l’altro, un ruolo maggiore nel peacekeeping, peacemaking, peacebulding e peace enforcement.

Queste missioni sono volte al mantenimento della pace e sono effettuate in stati nei quali la gravità della situazione interna potrebbe minacciare la pace e la sicurezza internazionale. Dal mantenere il “cessate il fuoco”, allo svolgere attività quali l’assistenza umanitaria, monitoraggio del rispetto diritti umani, disarmo e reintegrazione di ex combattenti. Oltre che dalle Nazioni Unite, possono essere condotte da organizzazioni regionali, sub-regionali, da coalizioni di stati o da singoli stati.

L’apporto femminile delle volontarie e delle donne militari si declina nella protezione dalle violenze di genere, promozione dei diritti umani, partecipazione ai tavoli negoziali e alle missioni sul campo.

Può, infatti, migliorare la qualità dell’approccio con le popolazioni locali, riducendo le conflittualità. Lo sostiene anche Hervè Ladsous, ex sottosegretario generale per le operazioni di peacekeeping, secondo il quale diventa più semplice instaurare contatti con la popolazione femminile locale, avvicinare i civili e guadagnarne la fiducia. Un passaggio fondamentale per consultazioni e collegamenti con il sottobosco degli intrecci autoctoni, soprattutto per i settori dell’istruzione e della salute. È stato dimostrato che le donne costituiscono risorse preziose anche per la politica, in modo più defilato influenzano ed orientano, contribuendo in modo rilevante ai processi di pacificazione nazionale.

Lo studio Women, Peace and Security, stilato dallo stesso segretario generale, ricorda che donne e ragazze vengono colpite in modo diverso dai conflitti armati e dunque presentano, nella fase post-conflittuale, necessità diverse da quelle degli uomini (per esempio nei casi di stupri di massa e di crimini di natura sessuale perpetrati durante e dopo i conflitti armati). Inoltre, donne e bambine possono essere state esse stesse combattenti. Tali necessità sono peculiari della condizione delle donne nei conflitti e rappresentano considerazioni importanti per la preparazione ed implementazione di un’operazione di peacekeeping.

Nonostante molti governi, come quello dell’Africa subsahariana, gli stati arabi ed il sud-est asiatico non incoraggino le donne a partecipare attivamente ai processi decisionali, i soccorsi femminili e la presenza di peacekeepers in queste regioni costituiscono dei punti di rottura e dei validi spunti di miglioramento.

Le donne come Norma Arnoletto diventano così fonte di ispirazione ed incoraggiamento per i paesi in cui si hanno ancora problematiche nel rispetto della vita e dei diritti umani, ma anche per noi. Ci dimostrano che è possibile, per il genere femminile, seguire ciò che appassiona diventando protagoniste delle loro esistenze, libere.

Fuck Pirlott, let’s rock

Lara Farinon per MIfacciodiCultura