Internet ha confini? Cyber censure e Web Tax accendono il dibattito

Negli ultimi anni abbiamo conosciuto i computer e Internet, accorciato le distanze e girato il mondo con un solo click. Navigando nel cyberspazio, milioni e milioni di informazioni, ricerche, scambi di notizie e comunicazioni si intrecciano vorticosamente.

La connessione globale tra le reti informatiche, ha abbassato i costi dei servizi aumentando le possibilità di connettersi anche con persone lontane, documentarsi e studiare. Il web ha di certo cambiato la società. Da iniziale strumento del controspionaggio americano degli anni ’60, Internet ha conosciuto un enorme successo circa un trentennio dopo, quando l’accesso a questo strumento è stato reso pubblico. Nel tempo è divenuto mezzo per rendere più accessibile il mondo e comunicare con semplicità. Si usa per lavoro come per diletto, serve a calcolare la strada da percorrere o cercare la ricetta migliore da proporre agli amici. Social network, blog e siti sono il nuovo modo di interagire della società, ma anche gli strumenti preferiti da aziende e politici, che con essi possono raggiungere le masse con un tweet o un post di Facebook (basti pensare al caso AfD tedesco, o più semplicemente al presidente USA).

Internet è divenuto simbolo indiscusso del superamento di barriere geografiche e culturali.

Un mezzo potente che in pochi istanti connette le estremità del mondo, così magnifico quanto pericoloso e, inevitabilmente, scomodo. I tentativi di contenere il popolo del web sono copiosi, in alcuni casi volti alla tutela degli stessi utenti, in altre circostanze più funzionali a logiche politiche ed economiche. Così, mentre in paesi come la Bielorussia (Nesavisimaya Gazeta) le notizie sono ancora blindatissime, la cyber-censura si avverte anche in Cina, Arabia Saudita e alleati. India, Indonesia, Kazakistan, Russia, Corea del Sud, Turchia, Uzbekistan ed Egitto controllano i contenuti multimediali in modo forte. In Europa sono centinaia le pagine che vengono oscurate (consentito anche dalla legge italiana, Agcom; e in legge finanziaria comma 545 – rimozione dei contenuti, oscuramento del sito internet).

Secondo il New York Times, negli ultimi cinque anni almeno 50 paesi hanno approvato leggi per averne un maggiore controllo, colpendo in particolare la libertà di espressione e l’accesso alle informazioni.

Un’analisi condotta dal Berkman Klein Center for Internet & Society di Harvard documenta che i governi bloccano i contenuti politici scomodi, le tematiche sociali e informazioni sulle nuove tecnologie, nonché notizie e opinioni su conflitti e sicurezza.

Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft e gli altri colossi cibernetici sono tra i principali interlocutori dell’economia moderna. Anche per questo, recentemente è stata avanzata una nuova proposta di tassazione su scala planetaria che li coinvolge, in quanto le loro attività strabordano dal paese di residenza. Stando ai recenti studi esposti all’Ecofin – riunione dei ministri dell’Economia degli Stati membri UE -,  la maggior parte di queste aziende realizza il 60% di vendite e profitti fuori dagli Stati Uniti, lasciandovi solo il 10% delle tasse pagate. L’attuale sistema, infatti, si basa sullo stabilimento permanente delle imprese, non prevedendo entrate per quei Paesi dove le aziende generano profitti da remoto, con scarsa o nessuna presenza fisica.

Per arginare l’elusione fiscale, durante l’ultimo vertice dell’Ecofin a Tallinn (settembre 2017), è stato chiesto alla Commissione Europea di vagliare nuove forme di tassazione dell’industria digitale. All’unanimità non raggiunta si è accompagnato un dibattito economico-politico molto acceso.

Ecofin, settembre 2017

Tre le proposte avanzate spiccano le idee di una tassa sul fatturato, di una ritenuta alla fonte sulle transazioni digitali e di un’imposta da applicare alle attività digitali (servizi offerti e/o pubblicità raccolta). Controlli e tassazioni che, dalle proposte avanzate, sembrerebbero implicare una misurazione fisica con contatore digitale del traffico dati (quantità e qualità) e numero di utenti. Non è ancora chiarito se la tassazione si ripercuoterà sugli utenti e in che modo verranno tutelati. Il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, ha considerato che per arginare il problema «le società dovrebbero pagare le tasse dove svolgono la loro attività economica effettiva».

L’idea, di colpire i volumi di vendite, non è stata propriamente un successo. Inoltre, non appare efficace  assemblare leggi diverse di singoli Stati. La tassazione, quindi, dovrebbe essere concertata su base planetaria, così come è la natura del digitale e dei colossi del tech. Non a caso, anche il Commissario Moscovici ha riconosciuto che l’iniziativa non può essere circoscritta alla Ue, ma dovrebbe eventualmente partire da Wto e G20. Delimitare i confini del digitale appare anacronistico quanto improbabile. O forse no?

A dicembre si attende il secondo round.

Fuck Pirlott, let’s rock

Lara Farinon per MIfacciodiCultura