In letteratura il finale aperto non è una novità. Capita spesso di imbattersi in punti sospensivi che lascino immaginare finali di diverso tipo, ma con Io posso.Due donne sole contro la mafia di Pif – al secolo Pierfrancesco Diliberto giornalista, autore e scrittore – e Marco Lillo – vicedirettore de “Il fatto quotidiano” – ( Feltrinelli, 2021) il finale c’è ma leggendolo si contribuisce a cambiarlo.

Ambizioso. Ha del magico. Ma ci sono cose che il potere delle parole può.

La storia è quella delle sorelle Savina e Maria Rosa Pilliu nella Palermo di circa trent’anni fa, quando un costruttore legato alla mafia prova ad ottenere la loro casa per aprire un cantiere molto più grande. Loro non cedono, ma il cantiere apre lo stesso e ne nasce un palazzone di nove piani, mentre la loro abitazione viene fortemente danneggiata e la loro vita di denunce e tentativo di trovare giustizia comincia ad essere funestata anche di minacce più o meno velate.

Ci vorranno trent’anni prima che la Legge riconosca le loro ragioni e che condanni gli autori di quanto hanno subito, stabilendo per loro anche un risarcimento danni; purtroppo però di questo denaro non vedono un euro perchè l’uomo che dovrebbe risarcirle subisce il sequestro e poi la confisca di tutti i beni, con i quali sono stati liquidati i creditori. Il loro avvocato ha provato a fargli avere accesso al “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso”, ma non sono considerate “vittime di mafia”; nonostante tutto però l’Agenzia delle Entrate di Palermo, così come da procedura, chiede alle sorelle Pilliu di pagare il 3 % di quella somma che non hanno ancora ricevuto.

Pif e Marco Lillo hanno voluto raccontare questa storia, la loro storia nel libro che diventa una ricostruzione ben dettagliata per rendere noto un esempio di raro coraggio e paziente costanza attraverso un lungo periodo i cui di momenti belli per loro non ce ne sono stati molti. Per non lasciarle sole, come spesso sono state, soprattutto quando anche i loro clienti del negozio di alimenti tipici sardi sono via via spariti per paura di rimanere coinvolti in qualche ritorsione.

Questa è quella che si potrebbe chiamare “solidarietà passiva”, ma gli autori con questo libro hanno voluto provare a gettare il seme di un atto di “solidarietà attiva”.

“In che modo? Raggiungendo tre obiettivi. Il primo: attraverso la vendita di questo libro raccogliere 22mila e 842 euro, cioè la cifra necessaria per pagare quel famoso 3 per cento all’Agenzia delle Entrate che le sorelle Pilliu sono costrette a versare. E, nell’eventualità che superassimo la somma necessaria, utilizzare il resto in attività antimafia. Ovviamente, noi due autori del libro cediamo in toto i nostri diritti d’autore” – spiegano Pif e Lillo nell’ultimo capitolo.

E proseguono: “Il secondo: far avere lo status di ‘vittime di mafia’ alle sorelle Pilliu. Naturalmente saranno le autorità a decidere, però è importante che questa storia non sia trattata come una ‘pratica amministrativa’. Per questo bisogna che tutti ci impegnamo per far sì che il maggior numero di persone possibile conosca la loro storia e continui a seguire la loro vicenda”.

“Il terzo e ultimo obiettivo: ristrutturare le palazzine semidistrutte e concederne l’uso a un’associazione antimafia” – concludono.

E’ triste constatare che chi denuncia, chi sceglie di stare dalla parte onesta, debba tribolare come le sorelle Pilliu; il rischio è che risulti sconfortante combattere il “puzzo del compromesso morale”. Questo è un accento su cui gli autori si soffermano, così come sul quel “io posso” – inteso come la prepotenza di chi si crede al di sopra di tutto e di tutti – contro il quale si sono schierate con coraggio e al quale hanno dato decisamente una nuova accezione. 

Antonia De Francesco per MIfacciodiCultura