aretha1La grandissima Aretha Franklin ci ha lasciato il 16 agosto del 2018 a Detroit a causa di un cancro al pancreas. Una donna, un mito, una perla rara della nostra umanità.
A parte il fatto di essere un talento straordinario nella sua arte, Aretha è stata molto di più: un punto di svolta nella storia delle discriminazioni, la virgola che ha cambiato l’intero senso della frase. Il suo repertorio è composto quasi unicamente di musica black: jazz, R&B, blues, gospel, pop, soul e rock ‘n’ roll. La sua identità di donna e di afroamericana si è sempre radicata fin da subito profondamente e indissolubilmente alla sua arte, la quale, diviene un inno chiaro e puro a queste diversità.

Aretha è stata la figlia perfetta di una musica di rara profondità e pregnanza storica: la black music, quella che racconta una storia di catene, dolore e sfruttamento. Melodie e tecniche straordinarie sono sorte dai campi di cotone, dalle baracche, dai posti riservati sugli autobus, dentro e fuori quella gente che, con voce graffiante, urlava in un canto sublime il proprio dolore nelle orecchie un’ America sorda. Tutto questo era sulle spalle e sulla voce straordinaria di Aretha Franklin, che, oltre a trascinarsi dietro gli strascichi dell’ apartheid, aveva su di sé  sguardi discriminatori per il suo essere donna. Ma per chiunque l’avesse conosciuta fin dagli inizi, che si mangiasse il mondo in un sol boccone era solo questione di tempo.

L’artista infatti fin dalla giovane età ha affrontato esperienze difficili che mettono alla prova la sua forza e il suo carattere: figlia di un famoso predicatore battista, la maternità per Aretha arrivò molto precocemente (ebbe il primo figlio a quattordici anni, il secondo due anni più tardi). Ragazza madre, nera e donna. Motivi per essere additata con disprezzo ce n’erano parecchi nella perbenista America di fine anni ’50. Ma con tenacia e passione, cantando nelle chiese in cui suo padre predicava, Aretha si fece notare da diverse case discografiche e produttori che le offrirono contratti e progetti di ogni tipo. Ma per sei anni il talento di Aretha rimase nell’ombra, la sua voce veniva costretta in percorsi imitativi e manierismi che la rendevano appena interessante e nulla più. Questo periodo di frustrazione e insoddisfazione lasciò tracce nella sua voce: una nota malinconica, piano piano, la avvolse come miele senza abbandonarla mai più, in ogni sua canzone. Il produttore giusto, la casa discografica giusta e la canzone giusta furono il mix perfetto per far uscire Aretha dall’ombra: Jerry Wexler, un produttore bianco dell’Atlantic, le diede una canzone di Otis Redding. Si trattava proprio della famosissima Respect.

aretha franklin copertina album respect 1967La Franklin per la prima volta si liberò di tutti i tentativi di imitare gli altri e fece le cose a modo suo. E funzionò. Lasciò libera la sua meravigliosa voce di fluire, esplodere, tuonare senza alcun freno. Fu quella la mossa vincente: nacque così finalmente la vera e grande Aretha Franklin. Quel potentissimo strumento che costringeva nella sua gola con manierismi troppo strozzati, aveva solo bisogno di fondersi con la sua grande tecnica vocale per colorirsi della sua inconfondibile personalità che tutti noi conosciamo. Ogni volta che Aretha prendeva in mano il microfono e iniziava a cantare, era come se venisse posseduta radicalmente dalla musica e dalle parole che stava cantando, dando una coloritura emotiva alla sua voce sempre perfetta e coinvolgente.

La rivoluzione vera e propria però, avvenne per il testo di questa canzone. Un manifesto femminista e anti-razziale, che, sebbene fosse stato composto e cantato da un uomo prima di lei, fu con Aretha che raggiunse il massimo del suo splendore e della sua pregnanza di significato. L’artista prese il brano, lo riarrangiò, lo stravolse e lo reinterpretò con tutta sé stessa, caricandolo con la sua peculiare forza e firma.
Il testo del brano “chiede” rispetto, ma la sua voce dice: “lo pretendo“. E vedere quella bellissima donna formosa ordinare a gran voce “respect” con tutta quella sicurezza e quella forza, diede una marcia in più a tutte le afroamericane e alle donne che iniziarono a vedere in lei un esempio, un nuovo modello di femminilità lontano da quello della giovane ragazza svenevole e che arrossisce con facilità. Ci mancherà. Molto.

 

Isabella Poretti per MIfacciodiCultura