Cesare Beccaria (Milano, 15 marzo 1738 – Milano, 28 novembre 1794) è stato un intellettuale di spicco del panorama illuminista italiano. Beccaria respira quell’aria del prezioso lume che permea ogni via della Milano all’avanguardia, animata e alimentata costantemente dalla presenza di Pietro Verri – altro grande intellettuale di punta milanese il cui nome ha marchiato indelebilmente l’intellighenzia italiana del secondo Settecento, grazie anche al suo contributo con l’Accademia dei Pugni.

Nomi appunto come quello di Verri (ma così come anche quello di Rousseau) portano Cesare Beccaria ad accostarsi al mondo del diritto penale, permettendo al suo curioso interesse giuridico di trovare sfogo conclusivo nel noto Dei delitti e delle pene (1763-4). La fama e il ricordo di Cesare Beccaria sono entrambi legati a questo testo passato alla storia, un volume che ha segnato un nuovo percorso di tradizione giuridica, rifiutando un passato ormai bisognoso di una netta virata in senso moderno.

Meno risaputo, probabilmente, è che Beccaria non si è occupato solamente di diritto, ma è stato attivo anche nel campo della letteratura e dei fogli periodici. Beccaria è una figura impegnata nel sensismo italiano, il movimento dell’epoca illuminista in cui ci si è battuti per una letteratura moralmente utile, che abbia un’applicazione in vista di un miglioramento civile. Testo cardine di questo suo pensiero è Ricerche intorno alla natura dello stile (1770), uno stile che deve essere incisivo e vivo, oltre che esteticamente appropriato.

Ma è sul periodico più importante dell’Italia Settecentesca, Il Caffè di Verri, che Cesare Beccaria ripone riflessioni a proposito delle modalità comunicative del suo tempo, ragionando sulla funzione e sul pubblico di questi nuovi mezzi di diffusione delle idee, ovvero i fogli periodici. Si evincono analisi di quel ruolo che è progenitore del moderno giornalista, si deducono linee guida che sorprendentemente rivelano oggi, nel 2017, una realtà più attuale che mai. La nascita dei periodici ha rivoluzionato il campo del sapere, il tutto in adeguata risposta a quella concezione democratica della cultura e dell’informazione promulgata dall’Illuminismo. La cultura che era racchiusa, ai tempi di Beccaria, nei volumi riportanti grandi nomi del mondo delle lettere, inizia capillarmente ad aprirsi con una lucida consapevolezza del potere di questa novità.

Ma nell’era del digitale, non parliamo anche noi di democratizzazione del sapere, dell’informazione e dell’accesso alla cultura? Ed ecco allora che un Cesare Beccaria – lui come le sue dichiarazioni sul Caffè – sembra annullare la distanza dei secoli, come se stesse parlando a noi, uomini dell’informazione online e dello schermo informatico.

[…] per un foglio periodico ognuno si crede abilità sufficiente, essendo poi sempre la mole, e il numero i principali motori della stima volgare. Aggiungasi la facilità dell’acquisto, il comodo trasporto, la brevità del tempo che si consuma nella lettura di esso, e vedrassi quanto maggiori vantaggi abbia con sé questo metodo d’istruire gli uomini.

Sembra stia parlando del passaggio dall’informazione trasmessa per carta stampata alla comunicazione “giornalistica” attraverso i giornali online, appunto più agili nell’acquisto, nel trasposto, nella lettura veloce. Un cambio di regime, quello che abbiamo vissuto noi con il digitale, una vera rivoluzione che si appella alla democratizzazione del sapere, trasmesso attraverso quei giornali che «non tanto devon servire ad estendere le cognizioni positive, quanto contenerne molte di negative, vale a dire distruggere i pregiudizi, e le opinioni anticipate, che formano l’imbarazzo, il difficile e direi quasi il montuoso e l’erto di ogni scienza». Ed è questa operazione, volta alla cancellazione dei pregiudizi e degli errori di conoscenza, il vero obiettivo. Ma, sempre come sottolinea Beccaria, bisogna edificare e non solamente distruggere, altrimenti si edifica «insensibilmente».

Un’informazione, insomma, che deve partire da uomini filosofi, secondo Cesare Beccaria, che si rivolgono a un nuovo pubblico, non più solo di studiosi, ma anche a quelli che prima oziavano, tenendosi a debita distanza dall’intimidatore volumone di letteratura. Una diffusione del sapere che deve fare capo a chi sa e raggiungere chi non sa e chi crede già di sapere, in una prospettiva che è pragmatica, di utilità.

In poche parole, ricordiamo un uomo del Settecento che delinea come muoverci nell’ormai più che avviato Duemila, un periodo in cui, mai come oggi, il ruolo del giornalista (e del giornalismo, del far notizia) sente il peso di un massiccio punto di domanda a proposito di chi sia e cosa faccia esattamente.
Cesare Beccaria è un esempio di come molti quesiti del momento riescano, sempre e comunque, a trovare una risposta e un punto di riferimento nel nostro passato storico, nelle persone che ci hanno permesso di arrivare dove siamo. Ecco perché celebriamo determinati personaggi: le loro orme sono ancora visibili oggi.

Sabrina Pessina per MIfacciodiCultura