E se fosse Eva a ghermire il serpente? Se l’animale infernale venisse soggiogato da un flauto incantato, che cosa accadrebbe all’umanità? Henri Rousseau applicò questo procedimento, il rovesciamento del conosciuto, in tutte le sue opere: gli schemi appresi e preconfigurati si sfaldano in un intricato dialogo di foglie sottili e occhi cerchiati di animali baldanzosi.

Portate con voi solo un po’ di realismo e fatevi avanti in un mondo di fiaba.

Henri Rousseau, “L’incantatrice di serpenti” (1907)

Rousseau nacque a Laval nel 1844, amava la musica e il canto e fu sorpreso a rubare denaro e francobolli. A 16 anni si arruolò nell’esercito, dove incontrò alcuni francesi che avevano combattuto in Messico (gli ispireranno grandi opere quali la celebre Guerra) e divenne poi doganiere. Si sposò ed ebbe 7 figli, che morirono tutti tranne uno, di TBC, come anche la moglie. Il Doganiere smise di essere Doganiere, finì in carcere per frode bancaria ma decise in seguito di conseguire il diploma di violinista, eseguendo un valzer all’Accademia Musicale. Iniziò a 42 anni la sua carriera di pittore.

Rousseau, il Doganiere, “Io, ritratto-paesaggio” (1890)

Nel 1886 espose al Salon des Refusés e divenne amico di numerosi artisti tra cui Pablo Picasso, che casualmente acquistò una sua opera e decise di omaggiarlo realizzando per lui una festa. Rousseau dipinse fino al 1910, anno in cui realizzò Il sogno (vedasi il dettaglio dell’opera, poco più sotto), con una poesia sul retro, e poi lasciò questa realtà. Al suo funerale si presentarono in 7.

Io sono l’inventore del ritratto-paesaggio! (Henri Rousseau)

Lo stile di Rousseau potrebbe apparire elementare, anche perchè non ebbe mai un maestro ma crebbe e forgiò la sua arte da autodidatta. I critici lo esclusero dal Salon ufficiale per l’eccessiva stilizzazione delle forme e la totale assenza di realtà, ma non furono in grado di cogliere quella tecnica naïf (in francese significa “ingenuo”) che invece attirò l’attenzione di molti. Con la ripresa degli elementi primordiali trasfigurati in rituali fiabeschi, Rousseau influenzò Paul Klee, che colse la fascinazione spirituale, Picasso, che disse “noi siamo i più grandi pittori del tempo, tu nel genere egizio, io in quello moderno” e poi Frida Kahlo e Diego Rivera che presero spunto per i ritratti, e Kandinskij, il quale in una lettera a Franz Marc commentò

Che uomo meraviglioso era questo Rousseau!

Particolare de “Il sogno” (1910)

I protagonisti di Rousseau, guardinghi in un mondo di fiaba allucinata, spiano tra i fiori arancioni dalle corolle sbiadite e gli arbusti selvaggi, longilinei e vivaci come in un un incubo espressionista, coi loro grandi occhi gialli e neri. Le sagome ricordano quelle di Antonio Ligabue.

Antonio Ligabue, “Leopardo” (1955)
  • Sera di carnevale (1886)

Nuvoloni bassi invadono il tramonto e si stagliano al di sotto della notte, avvolgendo Colombina e Pierrot, diretti chissà dove. Sono nel bel mezzo di una foresta, in un punto imprecisato, circondati da una fitta rete di alberi, cerini neri che svettano irti verso la luna; a sinistra, un capannone sta per essere totalmente avvolto dalle ombre, servirà una candela. Le due maschere camminano, bianche e con particolari fulgidi di rosa, lui con le gambe divaricate, lei più titubante e sulle sue. Quale dialogo stanno tessendo i due nelle trame della giornata più divertente dell’anno? Ma soprattutto, sono autentici almeno un po’ o non sono altro che fili maneggiati da un clown malinconico, pensieroso e seduto tra gli spettatori nel suo stesso circo?

Rousseau, “Sera di carnevale” (1886)

I giochi di luce dell’opera, con le tinte fosche intricate nella boscaglia sul sopire della golden hour, influenzarono l’artista belga Renè Magritte.

Rousseau, dettaglio “Sera di carnevale” (1886)
Rousseau, dettaglio “Sera di carnevale” (1886)
Rousseau, dettaglio “Sera di carnevale” (1886)
  • La guerra o la cavalcata della discordia (1894)

Rousseau raccontò che, mentre dipingeva, talvolta veniva assalito dall’angoscia. Doveva allontanarsi oppure, semplicemente, aprire la finestra per far uscire i demoni dalla stanza. Dopodichè riprendeva a dipingere.

Forse fece lo stesso anche quando raffigurò La guerra:

Rousseau, “La guerra o la cavalcata della discordia” (1894)

Una donna con un abito bianco dai merletti sfilacciati sgualcito veleggia, insieme a un cavallo, figura longilinea snella e irreale, macabra e spigolosa come alcune fisionomie di Picasso, sopra un manto di sangue. Sorride quasi, gli occhi sono spalancati e la bocca ghigna in un sordido grido espressionista mentre con una mano brandisce una spada e con l’altra un braciere. E’ diretta nel suo antro di sogno e supera gli uomini morti, le cui carni sono divorate dai corvi. Il ramo si spezza, le foglie cadono, marce e sporche di miseria, e le nuvole alitano sui cadaveri. E’ la perversione della guerra, in cui persino i colori della natura, i tramonti d’oro e i sacri cieli azzurri che si tingono di rosso, vengono sporcati, sciupati e annientati. Per cosa?

Rousseau, schizzo “La guerra o la cavalcata della discordia” (1894)

La curatrice della mostra Rousseau, il candore arcaico, tenutasi nell’appartamento del Doge a Venezia nel 2015, raccontò che Rousseau fornì una terza via di approccio alla realtà. La prima la segnò Gauguin, con la fuga a Pont-Aven, la seconda venne tracciata da Pablo Picasso con la pittura nera e la terza spettò a Rousseau, con la sua pittura atemporale, di sogno.

 

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