Quando nel 1851 Massimiliano II di Baviera indisse un concorso “per il conseguimento di un nuovo stile”, dimostrò quanto Monaco fosse pronta a dare spazio alle personalità emergenti, quelle volenterose di narrare storie nuove con metodi alternativi, distanti dalle tendenze dello Storicismo. Sul finire del secolo, nel 1892, alcuni artisti si staccarono dalla Società reale e diedero vita alla prima Secessione, a cui seguiranno quella di Berlino e Vienna.

  • Franz von Stuck, “Lucifero” e “Il peccato”
Franz von Stuck, “Lucifero” (1889-90)

Occhi fosforescenti squarciano il velo del nulla e si propongono, inquisitori, allo spettatore: è Lucifero di Franz von Stuck. L’artista, ispirandosi a Arnold Bocklin, ritraspone l’angelo caduto dal cielo, espulso dalla luce, in una sintesi pittorica che è bellezza suprema e autentico terrore, paralisi notturna. Nello scontro tra il nero dirompente e la piccola scia bianca, decentrata, all’orizzonte, il disequilibrio dell’uomo nelle tenebre racconta un Simbolismo pittorico senza precedenti.

Von Stuck dialogò coi circoli francesi, partecipò all’esposizione del 1869  a cui presero parte anche Courbet e Corot e scrisse per la rivista  anticonformista Jugend (Gioventù), presentando via via visioni sempre più metaforiche e allusive del perturbante.

Franz Von Stuck, “Il Peccato” (1893)
Franz Von Stuck, dettaglio “Il Peccato” (1893)

Nell’opera Il peccato, Eva, che per il pallore ricorda Lizzie Siddhal e i Preraffaelliti, è tentatrice e non vittima. Scruta lo spettatore con aria di irriverenza, anche se ormai a interessarla è la piroetta nel buio che farà tra qualche istante quando si rivolgerà completamente all’animale infernale. Diabolico, il serpente le stringe il collo, palesando un’alleanza dissacrante indissolubile. Da qui in poi non ci saranno più vie di fuga, nella notte degli spettri. Non resta che peccare per sopravvivere.

Franz Von Stuck, “Il Bacio Della Sfinge” (1895)

Sulla scia di Füssli (L’incubo), ne Il bacio della sfinge von Stuck permise alle voci interiori di esprimersi senza censure. Gli erotismi celati, persino quelli inconsapevoli agli stessi uomini, esplodono nel nero dell’onirico e parlano, forse per la prima volta, una koiné (lingua originaria) condivisa e viva, di certo distante dal mondo diurno, imbandito di strade deserte in cui risuonano artificiose eco di dialoghi vuoti.

  • Vasilij Kandinskij, “La vita colorata” (1907) 

Ben lungi dalla semplificazione estrema che lo porterà sempre più verso l’astrattismo, il fondatore del Cavaliere Azzurro si focalizzò, quando giunse in Germania, su scene gremite di persone. Il suo obiettivo fu individuare, nella miriade di infinitesimali tasselli colorati avvolti tra le nebbie del mondo, dei capisaldi immortali nella realtà e nelle fiabe. E li trovò: i comportamenti umani.

Vasilij Kandinskij, “La vita colorata” (1907)
Vasilij Kandinskij, “La montagna blu” (1908)

Pullulano di entusiasmo le tante fiammelle della Vita colorata, avvolte nel calore dei ritrovi comunitari. La contadina, il cavaliere, il pifferaio, il monaco e l’anziana donna partecipano con gran coinvolgimento, raccontando se stessi ma soprattutto i ruoli che personificano. In un Medioevo fittizio, con le nuvole lilla che ricordano i corvi di van Gogh, un nuvolone nero all’orizzonte e un castello immaginario (simile al Cremlino) arroccato su una montagna, gli uomini si confermano per quel che sono e sempre saranno: puntini allegri e indaffarati, fugaci comparse in un mondo (talvolta) di fiaba rossa.

L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla e indica il contenuto del futuro (Kandinskij)

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