La street art irrompe nella vita di tutti, esce dalle cornici di un quadro, dalle pareti di un museo ed invade le strade ripensando al concetto di opera d’arte e rivolgendosi così ad un pubblico vasto, non solo agli interessati che frequentano i musei ma al passante occasionale, di ogni fascia di età. Il suo museo è a cielo aperto.
L’attenzione viene spostata dalla forma al contenuto e le sue opere non sono rilegate solo all’ambito artistico ma soprattutto a quello sociale. La street è un’arte di denuncia, è uno strumento comunicativo della contemporaneità che cerca il contatto e la partecipazione del pubblico perché l’obiettivo principale di quest’arte è quello di inviare messaggi, risvegliare le coscienze, portare l’arte ad una maggiore fruibilità gratuita senza alcuno scopo di lucro.
Allora si può fare una mostra sulla street art? Si può trasmettere il suo messaggio tutelandone l’integrità attraverso gli stessi sistemi che questa rifiuta?
Se molti street artist vivono nell’anonimato, mantenendo sulla loro identità questo alone di mistero che cattura ancora di più l’attenzione e l’interesse del pubblico, e soprattutto compiono azioni di denuncia verso il mercato dell’arte e le scelte espositive dei musei, mi chiedo se possa essere davvero utile e possibile trasportare la street art dentro ad un museo, trasformandola in una mostra a pagamento. Quando è stata organizzata la mostra Banksy&Co a Bologna, nel 2016, lo street artist Blu per protesta ha cancellato tutti i suoi murales privando il pubblico delle opere che tanto amava. Un gesto il suo rivoluzionario, che gli sarà sicuramente costato molto, ma necessario per far capire la propria posizione netta e il dissenso nel vedere le proprie opere all’interno di un museo.
E che dire di quel genio di Banksy e della sua ultima trovata provocatoria, la sua opera forse più nota Girl with balloon, nello stesso momento in cui è stata battuta all’asta da Sotheby’s per più di un milione di sterline si è autodistrutta sotto gli occhi dei partecipanti. Fortunato chi era presente in sala per questa azione artistica tra le più formidabili degli ultimi tempi. Il meccanismo che l’opera nascondeva nella cornice si è inceppato e la ragazza con il palloncino si è distrutta a metà rimanendo in un limbo. Ma il bello dell’arte è il valore che ha assunto l’opera anche in queste condizioni, una vera e propria beffa per il povero Bansky.
Così pur senza autorizzazione da parte degli street artist, in quanto molti anonimi, i musei ci provano e continuano ad organizzare mostre su queste personalità e sulla loro corrente artistica.
I musei promuovono mostre per far conoscere al pubblico la street art ed i suoi maggiori esponenti mentre c’è chi continua a chiedersi se sia davvero la scelta giusta. Per portare gli street artist nel museo senza ledere la loro identità si potrebbe invitarli a realizzare dal vivo le loro opere irriverenti e provocatorie, insieme ad azioni che possano coinvolgere il pubblico. Proprio come avviene per le strade e come è avvenuto lo scorso giugno a Roma, quando chi passava per la piazza di Monti si è trovato davanti il murales di Sirante con Salvini ritratto da mendicante in cerca di un po’ di umanità. Al pubblico il compito di raccogliere da un cestino posizionato proprio lì davanti dei cuori con diverse percentuali di amore. Geniale.
Alejandra Schettino per MIfacciodiCultura
Alejandra Schettino
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