Hieronymus Bosch, un bislacco tra sacro e profano

Hieronymus BoschOggi dedichiamoci al grandissimo pittore fiammingo Hieronymus Bosch. Sulle sue tele si sono arrovellati studiosi dei più vari settori, producendo vertiginose interpretazioni legate alla psicoanalisi, alla teoria degli umori, all’alchimia, alla farmaceutica, finanche il suo coinvolgimento in sette eretiche di dubbia moralità o in pratiche legate a perversioni erotiche e pulsioni omosessuali.
Sicuramente il pittore olandese era strattonato un po’ di qua da gruppi religiosi ufficiali e un po’ di là da gruppi ufficiosi e di sottobosco. Accarezzava le speculazioni di Martin Lutero e di Erasmo da Rotterdam, passando per le opere del maestro Sebastian Brandt. Si gingillava con il trascendentale e l’irrazionale, sgonfiando la supremazia dell’intelletto, anima dell’Umanesimo del tempo.

Hieronymus Bosch nasce il 2 ottobre 1453 a ‘s-Hertogenbosch, una città nel sud degli odierni Paesi Bassi, allora possedimento dei duchi di Borgogna. La sua formazione probabilmente è in bottega, sotto lo sguardo attento del padre, il pittore Anton van Aken. Si pratica pittura, soprattutto affresco, ma anche doratura e produzione di arredi sacri per la cattedrale cittadina.

Ecce Homo (1476)
Ecce Homo (1476)

Le sue opere sono visioni, ricche di inventiva, quasi allucinate. Materializza il barcollare dell’uomo tra le vette della morale religiosa e le gole nere del vizio e del destino infernale. Cita la meditazione come pratica catartica e salvifica, facendo riferimento alle vite dei santi. Inizia una pittura di soggetto, che scivolerà lontano a influenzare molti artisti europei per tutto il Cinquecento. I suoi sono soggetti simbolici o allegorici, spesso ardui, poco leggibili, ma affascinanti.

Le sue matrici sono e auliche e popolari. Raggranella briciole di nozioni qua e là, si lascia affascinare da un viaggio di compagnonaggio a nord e poi da xilografie e miniature legate al gusto gotico internazionale, che al tempo circolano numerose in Europa, e verso cui è spinto fin da giovane dai familiari. Questo fa il suo stile molto personale e diverso dalle tendenze prevalenti del tempo. Cura la finezza dei dettagli e la resa dei volumi plastici, predilige un’esecuzione piatta, a due dimensioni, grafica anziché pittorica, assaggiata nell’illustrazione miniata. Della sua tecnica pittorica ne parlò il primo storico dell’arte olandese Karel van Mander, sottolineando come Bosch tendesse a tracciare l’intera composizione direttamente sul sostrato bianco e ritocca in seguito il disegno con tratti leggeri e trasparenti, di colore per gli incarnati. Molto della resa dipende allora dal sostrato.

Nave dei folli (1494)
Nave dei folli (1494)

La sua vita produttiva è tripartita e al periodo giovanile si può certamente far risalire I sette peccati capitali, le Nozze di Cana, l’Ecce Homo. Li qualificano la vivacità cromatica, i panneggi che curvano scultorei, le nuove introduzioni iconografiche. In Ecce Homo troneggiano Cristo e Pilato, l’umile e rassegnato che avversa l’agghindato all’orientale, ghignante. Sotto c’è la folla, i volti deturpati da una linea tormentata, che incalza con pugnali e alabarde. Non c’è prospettiva che disegna la veduta di città sullo sfondo.

In epoca più matura probabilmente si dedica alla Nave dei folli, al Trittico del fieno, al Trittico del Giudizio, all’Ascesa al Paradiso del Palazzo Ducale di Venezia. La nave dei folli riprende il poema dell’umanista Sebastian Brandt, che imbarca un gruppo di pazzi su una nave per Narragonien, la terra promessa dei matti, e prima del naufragio arrivano a Schlaraffenland, la terra della cuccagna. A quel tempo i pazzi erano considerati possibili emanazioni di Dio, suoi tentativi di un’espressione diversa, per questo non venivano esclusi o segregati bensì lasciati liberi di pascolare per le campagne, o caricati sulle Navi Azzurre, che veleggiavano scatenate.

Incoronazione di spine 1485)
Incoronazione di spine 1485)

Al periodo più tardo risalgono Il figliol prodigo, l’Incoronazione di spine, la Salita al Calvario. L’Incoronazione di spine risente maggiormente dell’influenza della pittura italiana, nella resa volumetrica delle figure e nel tratto non più ondulato ma angoloso e spezzato. Ci sono meno personaggi a mezzo busto e il Cristo rassegnato sta al centro, circondato dal flemmatico, dal malinconico, dal sanguigno e dal collerico.

Il suo catalogo è ad oggi un puzzle, con troppi tasselli consunti o dispersi. Non data i suoi dipinti e ne firma solo alcuni. Il re Filippo II di Spagna se ne appassiona, ed è entusiasta acquirente di molte delle sue opere. Per questo ampia parte della sua produzione è oggi conservata tra il Museo del Prado e il Monastero dell’Escorial, a Madrid.

Inconsueto e originale, il pittore olandese morirà nella sua città natale il 9 agosto 1516, senza essersi pressoché mai mosso. L’universo schizzato e rocambolesco delle sue opere stava tutto nella sua testa.

Francesca Leali per MIfacciodiCultura