Nelson Mandela, padre del moderno Sudafrica e uno dei leader mondiali in assoluto più amati del XX secolo, è stato più che un politico il padre di una nazione. È stato per anni modello di vita e di comportamento per tutti i guerrieri della libertà, speranza per gli oppressi, consolazione per i più deboli. Una grande anima che si è spenta il 5 dicembre del 2013, ma che ci ha lasciato un’eredità immortale.

Elogio a Nelson Mandela, l'"anima invincibile" che ha cambiato il mondo

Nelson Rolihlahla Mandela – o meglio, Rolihlahla Dalibhunga, suo nome di nascita –  nasceva nel lontano 18 luglio 1918, sul finire della Prima guerra mondiale, in un piccolo villaggio in Sudafrica, Qunu, abitato dalla tribù Thembu. Inizialmente destinato a diventare pastore di bestiame, dopo la morte del padre, perso a nove anni, viene mandato a studiare in una scuola presbiteriana. È in questi anni dell’infanzia che Nelson – il nome assegnatogli dai religiosi – inizia a capire l’importanza dell’educazione, valore che sosterrà per tutta la vita: in un Sudafrica in cui apartheid e razzismo regnano sovrani, dove i neri sono continuamente e deliberatamente discriminati, l’educazione è l’unica arma che un bambino nero ha per allontani da un destino – e uno Stato –  che lo vuole ai margini della società. E questo suo profondo credo nell’istruzione, e la rabbia che prova per le condizioni in cui versa il suo popolo, lo portano a 22 anni, finiti gli studi, a rompere con la sua tribù, che gli aveva imposto un matrimonio combinato, e scappare a Johannesburg, dove si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza.

È giunto il momento di far parte del cambiamento, di esserlo, e per questo partecipa a molte sommosse universitarie e si iscrive all’African National Congress (Anc), il partito votato alla lotta contro l’apartheid di cui poi diventerà guida politica e simbolo. Nel 1943 fonda la Youth League, la lega giovanile dell’Anc che negli anni diventerà il motore di un cambio generazionale che sconvolgerà il paese. Sono anni di lotta politica, vissuti in un clima ostile dopo che alle elezioni del 1948 il Partito Nazionale, razzista e pro-apartheid, vince di larga misura: Mandela si dedica con tutto se stesso alla missione del suo partito, la fine dell’apartheid, stendendone il manifesto e aprendo uno studio legale che offre assistenza gratuita alle vittime della repressione del regime. La sua, inizialmente, è una resistenza non violenta, basata tutta su manifestazioni, azioni politiche e proteste, di stampo decisamente gandhiano. Viene arrestato una prima volta nel 1956, insieme ad altri 150 manifestanti, con l’accusa di tradimento: il processo, che durerà sei anni, assolverà tutti gli imputati, ma è nel 1960, dopo il massacro di Sharpeville, dove 69 manifestanti non armati vennero uccisi, che avviene la svolta.

Madiba, a questo punto, si rende conto che la non violenza cessa di essere l’opzione più adatta per ottenere la fine dell’apartheid, e fonda MK, il braccio armato dell’Anc: è proprio in seguito alle attività del gruppo che verrà arrestato nel 1962 e condannato all’ergastolo.

Io ho combattuto contro il dominio dei bianchi e ho combattuto contro il dominio dei neri. Ho accarezzato e nutrito l’ideale di una società libera e democratica, nella quale tutti possano vivere in armonia e con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di vivere e che spero di raggiungere. Ma se ce ne sarà bisogno, questo è un ideale per il quale sono disposto a dare la mia vita.

Nelson Mandela durante il suo processo, 1964

Elogio a Nelson Mandela, l'"anima invincibile" che ha cambiato il mondoGli anni di prigionia sono tanti, sono lunghi: 27 in totale, nel carcere sull’isola di Robben Island. Già simbolo di un popolo, in questi anni lo diventerà di una nazione e del mondo intero, di tutti coloro che si sono riconosciuti nella fermezza dei suoi ideali, nella sua lucidità politica e nel suo amore per la libertà, trovando in lui la forza per ribellarsi a loro volta. La situazione nel Sudafrica segregazionista del presidente Bothe era già da tempo destinata ad esplodere, e per evitare una lotta fratricida e traghettare il paese in un’ottica post-apartheid serviva una persona che avesse non solo un credito significativo negli occhi della comunità nera, ma anche capace al confronto e al dialogo con la minoranza bianca. Questo è stato forse il merito più grande di Mandela: da una parte, guida inossidabile nella sua lotta contro l’apartheid, grazie al suo restare fermo e convinto nelle sue idee e ideali, al punto da rifiutare la scarcerazione nel 1985, in cambio della quale avrebbe dovuto rinnegare la lotta armata: l’Anc non potrà riporre le armi le armi finché non lo avrà fatto anche il regime, perché «Tra l’incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!». Dall’altra, il suo ruolo da riconciliatore una volta che, nel 1994, diventa il primo presidente nero del Sudafrica, forte anche del Premio Nobel per la pace vinto nel 1993: la sua presidenza è mossa dal bisogno di riunire un popolo, quello sudafricano, di curare le ferite causate da tanti anni di segregazione e di guidare il paese verso un futuro di unità e pace.

Nelson Mandela è stato tanto, troppo per essere racchiuso in poche righe, e ha dato tanto, al Sudafrica e al mondo: ha dato speranza, ha dato forza, ha dato consolazione nei momenti più bui. È stato il padre spirituale di ogni rivoluzionario pacifico del XX secolo, di ogni persona che, anche per un solo istante, ha voluto ribellarsi alle ingiustizie e all’oppressione. Possedeva però un grande spirito pratico e strategico, perché purtroppo gli ideali non sono che parole al vento se non conformati all’interno di leggi e istituzioni: per questo è stato in grado di scendere a compromessi, e di accettare la dolorosa necessità della lotta armata come mezzo per ottenere l’agognata libertà.

Elogio a Nelson Mandela, l'"anima invincibile" che ha cambiato il mondo

L’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, alla cerimonia commemorativa tenuta nel 2013 dopo la morte di Mandela, sosteneva che «non vedremo mai altri Nelson Mandela», eppure io di questo non ne sono sicura: ci sono altri uomini che sono stati in grado di diventare un simbolo per il proprio popolo, oppresso e agognante di libertà. Abdullah Öcalan, rivoluzionario curdo e leader del PKK, dal carcere di Imrali rimane il faro per tutto il suo popolo, sparso e perseguitato tra Iran, Iraq, Siria e Turchia. Marwān Barghūthī, da un carcere israeliano, chiede la stessa libertà per il suo popolo, quello palestinese. Simbolo per tutti i palestinesi, gode di un prestigio tale da essere l’unico uomo in grado di unificare Hamas e l’OLP, e l’unica figura con la quale Israele può pensare di negoziare un trattato di pace credibile.

Mandela, Öcalan e Barghūthī non sono alieni, ma semplici uomini: uomini in grado di rialzarsi, di lottare e di pagare in prima persona il prezzo dei proprio ideali. Uomini «dall’anima invincibile», come recita la poesia di William Ernest Henley tanto amata da Madiba, capaci di diventare simboli per milioni, se non miliardi, di persone.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,

Quanto piena di castighi la vita,

Io sono il padrone del mio destino:

Io sono il capitano della mia anima.

William Ernest Henley

Margherita Scalisi per MIfacciodiCultura