Niccolò Machiavelli: oltre la politica, la letteratura

Tutti noi conosciamo la figura politica che fu Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – Firenze, 21 giugno 1527), quel talento pensante che ha dato origine a preziosi scritti come Il Principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Le sue riflessioni vengono analizzate continuamente, a distanza di secoli dalla loro generazione, con acume e minuzia, riscoprendo sempre un’attualità sconvolgente di quelle parole universalmente valide.

Ma distaccandoci dai testi che custodiscono la visione dell’arte di Stato del Machiavelli “politologo”, troviamo anche una produzione letteraria, una capacità e un’abilità scrittorie altrettanto valide, spesso però tralasciate o inombrate dal genio più filosofico dell’autore. Dal punto di vista del genere letterario, anche Il Principe e i Discorsi sono una rivoluzione nel loro campo. Entrambi, ai quali aggiungeremo l’Arte della guerra, sono trattati. E gli scritti del Machiavelli, benché di contenuto politico, sono un tipo di letteratura che ha fatto storia: sul palco della scrittura del primo Cinquecento, lo scrittore sale  portando a suo nome degli esemplari di rivoluzione di genere, senza eguali precedenti né seguenti.

La tradizione del trattato prevedeva argomenti che esulavano dalla realtà strettamente quotidiana ed empirica, permettendo con il periodare ricco e abbondante, uno sconfinamento nella realtà altra, quella più riflessiva e distante dalla praticità quotidiana. Il Cortegiano (1528) del Castiglione è un esempio di trattato in quanto genere sfruttato per considerazioni più tendenti all’idealizzazione del concetto. Machiavelli non intende trasfigurare la realtà, anzi, il suo obiettivo è proprio quello di agire con la scrittura, utilizzare il trattato e le parole che lo compongono come un’attività nella politica cinquecentesca.

Ma se pensiamo a opere machiavelliane come La mandragola, riscontriamo un’ulteriore modificazione dello status quo dei generi letterari. Nella commedia, Machiavelli sparge con sapienza le impronte del presente mediceo, creando un’opera non a sé – in quanto commedia del Cinquecento in una produzione fatta di trattati – ma perfettamente inserita in una coerente visione umana, politica e artistica dello scrittore fiorentino.

Nella commedia, Callimaco si innamora di Lucrezia, già sposa di Nicia. Ritroviamo anche la latina figura dell’aiutante/parassita, Ligurio: gli ingredienti sono quelli della tradizione, della classicità. L’amore e la beffa, il sentimento e l’inganno, rappresentato dalla pozione di mandragola. La conquista di una donna è un fine da raggiungere, così come il fine non viene mai meno nella politica concezione machiavelliana. Pianificare, progettare, eseguire ma sempre e comunque con uno scontro con la realtà che disillude e ostacola l’effettivo compimento del disegno.

È una concezione negativa, quella che Machiavelli ha del presente e del genere umano, della sua natura, ma cenni di speranzosa luce positiva non mancano. Già infatti all’inizio, il testo del La mandragola si apre con una velata esortazione all’inseguimento del “bene” personale:

Perché la vita è brieve/e molte son le pene/che vivendo e stentando ognun sostiene;/dietro alle nostre voglie, andiam passando e consumando gli anni/ché chi il piacer si toglie per viver con angosce e con affanni, non conosce gli inganni del mondo. 

La mandragola, Canzone

Ma in tutto questo la Mandragola spicca per anomalia con un suo finale non canonico, ovvero emblematicamente realistico: è la conclusione che non prevede un lieto fine ma che sancisce il caos. Il caos, cioè, del presente mediceo, della realtà negativa e della conseguente sfiducia verso l’oggi e il domani. Ma la razionalità del pensatore fiorentino fa in modo che non ci si debba voltare dall’altra parte: la letteratura – commedia e trattato – ha un potere pragmatico, comunicativo ed esortativo.

D’altronde, la classicità è intramontabile, e nelle righe del Machiavelli scrittore e letterato possiamo leggere con piena attualità lo svelamento del nostro presente, un presente – a questo punto – identico al presente passato del Cinquecento italiano. E laddove si ha un obiettivo e il fine è buono, allora non bisogna cedere o fermarsi nel cammino verso il suo inveramento, ovvero:

Dove è un bene certo e un male incerto, non si debbe mai lasciare quel bene per paura di quel male. 

La mandragola, atto III, scena 11

Insegnamento sempiterno.

Sabrina Pessina per MIfacciodiCultura