Come si riconosce al primo impatto un concerto rock’n’roll? Beh, se la prima canzone che sentite inizia con una frase di chitarra elettrica (termine tecnico riff), avete già un primo indizio. Se poi il cantante o il chitarrista si presenta sul palco muovendosi quasi a fare una danza improvvisata i dubbi diminuiscono ulteriormente. Chuck Berry saliva sul palco esattamente così.

Chuck Berry

Era il rock’n’roll a non essere ancora nato quando lui si cimentava con le prime esibizioni. Sarebbe meglio dire non “prime esibizioni” e basta, ma le prime in cui la sua tecnica e il suo linguaggio erano ormai giunti a maturazione. Prima di sbalordire tutti con la duck-walk, infatti, avreste potuto vedere Berry solamente in qualche club o bar di St. Louis, circondato da un pubblico fedele ma insufficiente per portarlo alla ribalta. Sta però proprio nel suo iniziale pubblico la chiave del successo planetario di questo artista e del genere da lui inaugurato. Infatti, sessant’anni fa i locali dei bianchi e quelli dei neri, soprattutto in Stati tradizionalmente sudisti come il Missouri, erano divisi da barriere invisibili ma fortissime. Chiaramente, se si voleva guadagnare qualcosa dai propri show, bisognava tenerle bene presente queste differenze: nei locali dei bianchi si suonava il country, in quelli dei neri rigorosamente rhythm and blues. Berry non aveva fatto sempre il musicista e il suo essere un outsider ha sicuramente contato molto nelle sue scelte: e come outsider non si intende solo un escluso dall’educazione musicale canonica. Prima di iniziare a strimpellare in uno di quei club che dicevamo, il futuro rocker aveva già avuto diverse esperienze in carcere, spesso a causa dei suoi furti o addirittura per rapina. Poi, più che la musica in sé, lo salvò il suo esperimento, che forse non è azzardato definire “sociale”: con la sua band, composta principalmente da neri e quindi, neanche a dirlo, seguita principalmente da un pubblico di neri, iniziò a improvvisare qualche fraseggio country. Come tutte le grandi trovate, inizialmente qualcuno ebbe da ridire; ma durò poco perché l’alchimia con il R&B faceva scendere tutti sulla pista a ballare.

Non passò molto tempo da quando Chuck Berry (vero nome Charles Edward Anderson, Saint Louis, 18 ottobre 1926 – Saint Charles, 18 marzo 2017) si recò, con una raccomandazione che avrebbe spalancato le porte a chiunque – niente di meno che Muddy Waters, uno dei più noti bluesman si era infatti mobilitato per lui – a Chicago nel tentativo di incidere il suo primo brano. Nel giro di pochissimi anni il successo lo travolse in pieno: per fare giusto un esempio, il suo primo 45 giri Maybelline vendette un milione di copie. «Up in the mornin’ and out to school» inizia School Days, uno dei singoli che lo portarono ad essere una delle icone di quegli anni e del rock in generale. Nessuno si rivolgeva ai giovani in modo più diretto ai tempi: sarebbe stato il primo a comporre così e a parlare della vita noiosa dei teenager e di una possibile via per cambiarla.

Tutto naturale oggi, ma negli anni ’50 la cultura non era pronta per questo. Non era pronta neanche per lo show da palco con cui il cantautore infiammava il pubblico; così dal 1957 al ’59 la sua stella brillò fianco a fianco con quella del grande Elvis, con il quale innegabilmente condivideva delle affinità. Lo stile di Berry nelle sue composizioni era però caratterizzato da una maggiore centralità nell’uso della chitarra, che si introduceva tra un verso e l’altro delle sue canzoni, quasi come se fosse un “controcanto” rispetto alle parti vocali. Inutile dire quanto tutto questo influenzò la scena successiva.

L’idillio degli anni ’50 finì però di colpo: fu come se il suo vecchio passato di scavezzacollo riemergesse per riportarlo giù. Nel 1959 tornò in carcere con l’accusa di aver intrattenuto rapporti intimi con una quattordicenne; ai tempi era certamente molto più facile incriminare un nero, ma quasi certamente questa storia non fu tutta inventata. Nonostante dopo quella data a Chuck Berry il successo non arrise più come un tempo, lui non si rassegnò a cadere nel dimenticatoio: l’ultimo suo concerto in Italia è datato 2013. Morì solo quattro anni dopo, non come una vecchia star dimenticata, ma con un album ancora in cantiere: fino all’ultimo ha prevalso in lui il tentativo di creare.

Daniele Rigamonti per MIfacciodiCultura