Il contesto storico-sociale in cui Michel De Montaigne (Bordeaux, 28 febbraio 1533- Saint-Michel-de-Montaigne, 13 settembre 1592) si trovò a operare era particolarmente complicato: l’Europa era dilaniata da un sanguinoso conflitto religioso che vedeva contrapposti Cattolici romani da una parte e Protestanti dall’altra, ma il nobile perigordino (seppur fedele alla Chiesa di Roma) non scrisse panegirici per nessuna delle due parti, ma espose un forte scetticismo nei confronti del mondo e della sua epoca, un sentimento che è ben espresso nella sua opera maggiore, i Saggi (Essais, usciti in più versioni dal 1580 fino al 1588).

Educato secondo principi umanistici, ricoprì incarichi politici dal 1561 al 1563. Nello stesso periodo strinse un forte legame amicale con Etienne De La Boétie, interrotto dalla morte prematura di quest’ultimo nel 1563. Dell’amicizia che li legava ebbe a scrivere il filosofo bordolese:

Se paragono tutta la mia vita rimanente a questi quattro anni che egli mi ha regalato, essa non è altro che fumo, null’altro che una notte oscura e noiosa […] gli stessi piaceri che si offrono, invece di consolarmi, raddoppiano il rimpianto della sua perdita.

Michel De Montaigne

Da questo momento in poi, Montaigne si ritirerà nella biblioteca del suo maniero del Périgord per studiare i classici, in modo particolare Seneca, Lucrezio e Cicerone. Oggetto della sua speculazione filosofica divenne l’uomo e, in modo particolare, se stesso. È in quest’ottica che devono essere contestualizzati gli Essais: sono delle prove, dei tentativi (essai, in francese, significa proprio questo) che, gnoseologicamente, non possono sperare di raggiungere un grado sufficiente di adeguatezza, poiché la conoscenza dell’uomo  è sempre fallace.

L’introduzione ai Saggi anticipa un aspetto che il filosofo perigordino elaborerà in uno dei componimenti: l’interesse per le popolazioni amerindie. Come gli indigeni vivono nudi, allo stesso modo Montaigne intende dipingersi al suo lettore, che conoscerà le più intime riflessioni dell’autore, venate da un profondo scetticismo per la situazione che si respira nel Vecchio Continente.

Di particolare interesse è il Saggio 31, dedicato ai cannibali latinoamericani. Il filosofo introduce riflessioni fortemente relativiste: a essere innaturali sono degli esseri umani antropofagi oppure i cristiani europei, che si fanno la guerra in nome della religione o per via dei diversi modi di concepire Dio e la Chiesa? Così come aveva fatto Socrate diversi secoli prima, adesso un nobiluomo francese della seconda metà del XVI secolo inizia a instillare il seme del dubbio tra i suoi lettori, facendo crollare le loro certezze. 

Un altro saggio significativo è senza ombra di dubbio il 23, dedicato alla consuetudine. Facciamo determinate cose perché ci sembra giusto farle? No, le facciamo semplicemente per consuetudine o perché ci hanno insegnato a comportarci in questo modo. Non mettiamo mai in discussione determinati insegnamenti o determinate regole (anche se, sotto sotto, non le condividiamo) perché la consuetudine ci ha insegnato così. Viviamo, come sintetizza lucidamente Thomas Mann, in una seconda pelle e, come scrive ancora più lucidamente Pirandello, ci vediamo vivere. Lo scettico Montaigne ci invita a riflettere su qualsiasi precetto o regola e sembra adombrare una genealogia della consuetudine. 

Michel De Montaigne

La riflessione con una forte caratura pedagogica per la sua epoca è quella già menzionata sull’amicizia:  in una fase storica in cui padre e figlio oppure fratello e sorella erano contrapposti per le diverse scelte religiose, egli adombra questo rapporto come qualcosa che lega insieme due anime, in un connubio ideale in cui difficoltà e ostilità si perdono. L’invito di Montaigne a perdersi nella meraviglia dell’amicizia ha una forte valenza etico-morale soprattuto oggi, in un momento in cui leader sovranisti, xenofobi e omofobi (non ho bisogno di fare nomi) minano anche i più essenziali rapporti umani e rendono la convivenza e la cooperazione impossibile. 

Non nascondo profonda ammirazione e sincero rispetto per questo pensatore francese, la cui modernità e la sua sensibilità dovrebbero far riflettere noi contemporanei, che abbiamo dimenticato la nostra umanità e la nostra empatia, completamente anestetizzati da smartphone, computer e slogan che definire discutibili sarebbe un eufemismo.

Andrea Di Carlo per MifacciodiCultura