Ironica, graffiante, irriverente. A differenza di altre “sorelle” più dolci e aggraziate, la Satira è una musa arguta e sfacciata, a tratti grottesca, abile nell’affascinare attraverso quel sorriso amaro che diverte e, al contempo, fa riflettere. Una dea che, nel corso dei secoli, ha conquistato artisti e letterati, pronti ad ascoltare il suo canto per correggere, a colpi di penna e pennello, i (mal)costumi delle società di ogni epoca.

L’atmosfera si fa spettrale: le chiome degli alberi si tingono di arancione, una foschia sinistra inizia ad avvolgere le campagne e le foglie cominciano a svolazzare cullate dalla brezza autunnale.

Ottobre è un mese di passaggio, con la notte del 31 che fa da vigilia al giorno di Ognissanti e da antivigilia a quello dei Morti. In questo periodo dell’anno tornano alla ribalta determinate immagini e letture che favoriscono la suggestione, un po’ come Il canto di Natale di Dickens a ridosso del 25 dicembre.

Una di queste letture è certamente La leggenda di Sleepy Hollow, un racconto scritto dallo statunitense Washington Irving nel 1820 e inserito nell’antologia Il libro degli schizzi.

Trasposto in chiave cinematografica dalla Disney (Le avventure di Ichabod del 1949) e dal regista Tim Burton (Il mistero di Sleepy Hollow del 1999), il testo sembrerebbe caratterizzarsi (anche alla luce dei due film citati) per la suspense e per il terrore causato dallo spettro del cavaliere senza testa che ogni notte, in sella al suo destriero infernale, si aggira nei pressi del villaggio di Sleepy Hollow.

Si tratta, come riporta lo stesso Irving, del «fantasma di un soldato della cavalleria assiana decapitato da una palla di cannone durante una delle tante battaglie senza nome della guerra d’indipendenza, e che la gente del contado vede spesso galoppare a spron battuto nelle tenebre notturne, quasi fosse portato dal vento».

Insomma, una valle desolata, un’ombra terrificante nell’oscurità, una comunità terrorizzata: gli ingredienti perfetti per un horror di successo!

In realtà, però, La leggenda di Sleepy Hollow ci fornisce qualche elemento in più, tanto da poter quasi accantonare la tinta orrifica per scorgere una sfumatura addirittura satirica!

Il vero protagonista della vicenda, infatti, non è il cavaliere decollato, bensì il pedagogo Ichabod Crane, giunto nello sperduto villaggio per svolgere il mestiere di insegnante elementare.

Già dalla descrizione, emerge una certa “caricaturalità” del personaggio che, come dice il nome (Crane significa “gru”), era «alto e macilento, nonché stretto di spalle, aveva braccia e gambe lunghe, con le mani che ciondolavano dai polsini e due piedi che avrebbero potuto fare da vanghe: nell’insieme, la sua figura sembrava composta da pezzi tenuti male insieme». Irving prosegue con l’illustrazione della testa «minuta e piatta», sentenziando infine che «chiunque, in una giornata tempestosa, lo avesse visto incedere ad ampie falcate lungo il dorsale della collina, con gli abiti che si gonfiavano intorno, lo avrebbe preso per lo spirito della carestia disceso sulla terra, o per uno spaventapasseri scappato da un campo di granturco».

Dunque, già dopo poche pagine, l’ironia dell’autore statunitense si inserisce prepotentemente tra le righe di questa storia dal sapore gotico, ripresentandosi in altri punti del racconto.

Anche nel fotografare la comunità di Sleepy Hollow, Irving non risparmia commenti placidamente graffianti nei confronti dei suoi cittadini, di origine olandese: dall’arroganza goliardica del giovane Abraham Van Brunt (detto “Brom Bones”) alla civetteria della bella Katrina Van Tassel, passando per il vecchio collerico Hans Van Ripper.

Anche Ichabod Crane, al netto della sua gentilezza e disponibilità, viene descritto, seppur bonariamente, come pedante, ruffiano e credulone. A ciò si aggiunge l’amore interessato e venale per la diciottenne Katrina, figlia del ricco latifondista Baltus Van Tassel.

Attendendo che il cavaliere senza testa semini lo sgomento per i sentieri della Valle Addormentata fino all’incontro finale con Crane, Irving narra le vicende di Sleepy Hollow in un affresco che riconsegna al lettore non solo i timori e le superstizioni di un villaggio contadino di fine Settecento, ma anche alcune delle miserie che contraddistinguono l’uomo: una critica velata, senza mai scadere, tuttavia, nell’invettiva feroce.

Per conoscere l’esito della storia, non ti resta che leggerla!

Andrea Romagna per MifacciodiCultura